XVII Triennale di Architettura di Milano – Riuso dell’area Deltasider Teksid Michelin, a Torino sul fiume Dora”

1987 – Progetto per la XVII Esposizione Triennale di Milano, incentrata sulla complessità delle città ed in modo particolare sul tema: LE CITTA’ IMMAGINATE: UN VIAGGIO IN ITALIA – NOVE PROGETTI PER NOVE CITTA. Su invito della Giunta Esecutiva della Triennale: realizzazione e presentazione del progetto di Architettura e Urbanistica per il “Riuso dell’area Deltasider Teksid Michelin a Torino sul fiume Dora”.

In collabor. con: Prof. Arch. Emanuele Levi Montalcini_Torino, Prof. Arch. Agostino Magnaghi_Torino, Prof. Arch. Mario Federico Roggero_Torino, Arch.Carlo Roggero_Torino, Prof. Arch. Piergiorgio Tosoni_Torino.

Il problema della riqualificazione delle aree industriali poste lungo la Dora si inserisce nel contesto più generale delle dinamiche di ristrutturazione di settori produttivi che hanno caratterizzato storicamente il rapporto tra Città e attività industriali, concorrendo a definire la fisionomia di un tipo particolare di cultura urbana.
Capire il significato, anche visivo e spaziale, dei fabbricati industriali in parte disattivati che fiancheggiano il fiume vuol dire tenere conto, almeno per grandi linee, dei caratteri di fondo del processo di sviluppo ineguale che ha contraddistinto, nei decenni passati, l’impatto di una base produttiva imponente sul tessuto fragile di strutture civili in via di rapida trasformazione e sul sostegno incerto di un territorio poco progettato.
La debolezza, o l’assenza, di un disegno preordinato ha concorso, tuttavia, a lasciare in vita frammenti e residui di realtà che si sono venute avvicendando in parte, e in parte accostando: la grana edilizia più minuta di Borgo Vittoria si stacca dagli allineamenti edificati nei successivi decenni; i filari di alberi lungo la strada seguono la traccia dei canali della Ceronda e della Pellerina; i grandi volumi tecnici, le ciminiere e le torri, emergono sul tessuto circostante, ed è quasi impossibile non coglierle nel flusso dei grandi corsi, tracciati a loro volta lungo il segno dell’antica cinta daziaria; le sponde della Dora denunciano in questo punto un netto stacco nei confronti del tratto orientale del torrente: la presenza delle grandi fabbriche viene a rompere qui il segno del fiume come manufatto urbano continuo, fatto di argini costruiti, di viali di piante e di case che ne seguono linearmente le anse.
Il “terreno libero” da cui partire per un progetto di trasformazione di questi spazi è costituito da tutto questo insieme di aree, di volumi, di fratture, di nessi, ma anche di memorie da cui non sono estranei gli alti costi umani e sociali tramite i quali questa ed altre parti di città si sono venute costruendo; i dati di ingresso del progetto sono forniti da queste eredità e non dal dosaggio di quantità e di funzioni pesate sulla scorta di ipotesi teoriche.
Le linee di fondo di un possibile progetto cominciano quindi ad acquistare una loro fisionomia.
Attorno alle aree in questione gravita una “città” di circa 16.000 abitanti.
Dove questa “città” finisce non ci sono prati: ricominciano altre “città”.
Questa “città” cresciuta attorno alle fabbriche non ha che ridotti spazi per il tempo libero, per il gioco all’aperto, per le attività sportive non agonistiche quindi non il “verde” come simbolo grafico tipico di una planotecnica riduttiva, ma l’accessibilità a spazi aperti esistenti o liberabili, la ricostruzione di corrispondenze anche parziali, tra i frammenti ancora leggibili del territorio agricolo preesistente da un lato e le abitazioni dall’altro; frammenti integrabili con tutto ciò che si riesce a sottrarre alla cascata di volumi tecnici resi inutili dalla cessazione delle attività produttive.
Poi il mantenimento di quanto costituisce, anche sul piano visivo e della memoria collettiva, riferimento riconoscibile della fase appena passata;quella delle fabbriche tra le case, dell’industria tra la vita delle persone; questo nel tentativo di un possibile reinserimento in un nuovo circuito di usi e di significati.
Infine, ma non ultima, la ricostruzione di un tessuto connettivo di tipo inedito, che consenta di ricucire alcune corrispondenze tra funzioni, alcune forme di accessibilità sinora negate, alcune forme di separazione o di autonomia sinora non consentite: la viabilità, quindi, ma nel tentativo di un recupero della pienezza del concetto di strada.